giovedì 18 dicembre 2008

Un po' Charlie Brown

Il grande merito di Charles Schultz è stato quello di rappresentare nei suoi Peanuts, con estrema semplicità, varie sfaccettature dell'animo umano. Così, diventa impossibile non immedesimarsi in uno dei suoi personaggi: nella metafisica paranoica di Linus; nella talentuosità artistica di Schroeder; o nel disagio di Charlie Brown.
Ricordo un bellissimo capitolo di "The discomfort zone" di quel geniaccio di Jonathan Franzen, in cui l'autore ci regala un intero capitolo dedicato ai "Peanuts", dove Charlie Brown diventa il suo alter-ego (da cui quel "disagio" che dà il titolo al libro) e Snoopy un simbolo dei movimenti degli anni '60/70. Come Franzen mi sono sempre immedesimato più su Charlie Brown, malgrado la mia preferenza per il musicista, il biondino Schroeder, con il suo pianoforte giocattolo (ne avevo uno anch'io) ed il suo armadio di busti di Beethoven.Schultz aveva preferito Beethoven agli altri compositori, semplicemente perché era più divertente. Così Schroeder nella sua musica trova una felice via di fuga dalla realtà. Analogamente a Linus, con la sua copertina, le sue fantasie ed il delirio teosofico che gli fa creare il culto per il "grande cocomero".
Diversamente da Schroeder e da Linus, Charlie Brown - pur nella sua continua sventura - mostra un attaccamento speciale verso il mondo, verso la vita reale. E' determinato e testardo, altruista e benevolo. Perde tutte le battaglie, ma dignitosamente ogni volta rialza la testa, più convinto di prima.
Sì, sono sicuramente un po' Charlie Brown. Lo ripesco nella mia "zona disagio". Ed anche io cerco la felicità nella "ragazzina coi capelli rossi", che però sta sempre fuori campo. L'attesa messianica di Charles Schultz...


A volte la notte me ne sto sveglio nel letto e mi chiedo: "Dove ho
sbagliato?". Poi una voce mi dice: "Ti ci vorrà più di una notte per
questo".(Charlie Brown)

venerdì 5 dicembre 2008

Commenti su un'intervista a Veltroni

Su consiglio del mio amico Cristiano, leggo l'intervista rilasciata da Walter Veltroni sul quotidiano "La Repubblica".
Mi lascia un po' perplesso. Malgrado le sue smentite, noto sempre di più - e con profondo rammarico - che la leadership del buon Walter sta scemando di giorno in giorno.

Mi sono tuffato nella prima esperienza politica della mia vita nel marzo di quest'anno, entrando nel coordinamento del circolo del Partito Democratico del mio quartiere. Ho sperato con ingenuità (a 31 anni parlare di ingenuità è quasi un eresia) in un reale rinnovamento della politica italiana, rinnovamento riconfermato da un programma elettorale fresco e nello stesso tempo concreto.

La mia fede nel socialismo liberale e riformista prendeva forma in qualche modo in questa nuova esperienza, dopo l'infanzia sulle orme di un padre socialista, l'adolescenza nella sinistra antagonista (per protesta verso qualcosa che ancora non ho ben identificato), e poi il rientro nei ranghi del pensiero liberale, coltivato con la passione verso la Politica dei grandi maestri, dai Rosselli a Foa, da Bobbio a Popper.
Oggi, a distanza di qualche mese dalla sconfitta elettorale di aprile, malgrado il grande movimento di popolo (riconfermato con la manifestazione "Salva l'Italia" di ottobre), malgrado la bella atmosfera e la grande spinta esercitata da un movimento giovanile quanto mai partecipe e propositivo, il Partito Democratico si ritrova ancora incastrato nei vecchi schemi delle due grandi formazioni da cui proviene e da cui ha preso vita nella forma di un patchwork piuttosto che come Sintesi.

Walter ci parla di socialismo e di riformismo, ma al di là delle parole, dei due capisaldi della sinistra liberale nel Partito Democratico non ve n'è traccia.
Infatti, se da una parte ammicchiamo con occhiatine ruffiane e bigotte alle frange più conservatrici dell'area cattolica del partito ed oltre, mirate magari ad un accordo con il beneamato Casini, dall'altra non riusciamo a stanare le reminescenze di quella nostra sinistra storica, su cui rimandiamo ancora a data da destinarsi una fase di profonda critica e distacco. Quello stesso impianto ideologico che ci ha portato a difendere recentemente i piloti Alitalia (una casta da sempre privilegiata e sprecona) a discapito dei precari che già sono tutti a casa e di cui nessuno se n'è accorto.
Oggi, per l'Italia sarebbe veramente grave non avere un partito socialista, la sinistra farebbe l'ennesimo clamoroso errore e perderebbenuovamente una preziosa occasione di rinascere, dalle sue ceneri. Credo che le intenzioni del nostro leader Veltroni siano state nel corso di questi mesi coerenti ed oneste, ma l'"intellighenzia" in campo nel PD sin dal suo insediamento ha cercato di ostacolarlo in più modi, leciti o illeciti (il caso di Latorre è solo la punta dell'iceberg, ma forse se indaghiamo sull'affare Villari potremmo scoprirne ancora di più belle).
Forse è il momento, per chi crede veramente in quel programma che abbiamo approvato, diffuso e sentito profondamente nostro nelle ultime elezioni politiche, di far sentire il proprio dissenso. Per far sì che quelle pagine non diventino carta straccia, per non far prevalere il retrismo, per istituire quel cambio generazionale di cui la politica ha assoluto bisogno.

sabato 22 novembre 2008

Rosso come il cielo

Anno 1971. Un bambino toscano, Mirco Mencacci, si ferisce agli occhi mentre gioca con un fucile. L'incidente gli provoca la cecità.Viene mandato nel collegio per ciechi "David Chiossone" di Genove dove, tra costrizioni e regolamenti assai severi, trova un ambiente ostile al suo carattere ribelle.

Grazie ad un vecchio registratore scopre una passione per i suoni e le loro caratteristiche narrative ed espressive. Inizia a creare delle favole fatte solo di rumori, con la complicità di Francesca, sua coetanea, figlia della custode della scuola.La scuola - ad eccezione di Don Giulio (un Paolo Sassanelli in grande forma) - cerca di impedirgli in tutti i modi di coltivare la sua passione. Ma non basta per fermare il talento di Mirco, che coinvolge nelle sue attività anche i compagni di classe, facendo rinascere in loro l'entusiasmo e la gioia di vivere tipica dei ragazzi della loro età. Quell'entusiasmo che l'istituto cerca di frenare, per lasciar spazio alla rassegnazione ed alla vana speranza di un futuro per loro appena "accettabile", fra dottrina, disciplina e corsi per imparare un mestiere alla loro portata (il tessitore, il telefonista, etc.).

Le uscite proibite e le sue attività "clandestine" portano Mirco all'espulsione dalla scuola. Ma con la dura presa di posizione di Don Giulio nei confronti dell'istituto e le mobilitazioni della società civile, il ragazzo viene riammesso.Con l'aiuto di Don Giulio, in occasione della fine dell'anno scolastico, Mirco riesce a mettere in scena uno spettacolo teatrale fatto solo di suoni, con un pubblico bendato.

Mirco Mencacci oggi è uno dei più apprezzati tecnici del suono del cinema italiano.

Il film "Rosso come il cielo", terza opera di Cristiano Bortone, è una favola delicatissima. Si smarca dalla tentazione della facile retorica con una bella sceneggiatura (scritta con la collaborazione di un sorprendente Paolo Sassanelli) ed un'eccellente direzione della fotografia.Sorprende la bella prova dei bambini, come difficilmente capita di vedere nel cinema italiano degli ultimi anni. La storia scuote gli animi in modo onesto, senza furberie o trovate ruffiane.

Non mi è stato difficile ritrovare, nella storia ed in particolare nella messa in scena dello spettacolo finale sui rumori, le intenzioni e lo spirito della mostra "Dialogo nel buio" e delle varie iniziative ad essa collegate. Per saperne di più su "Dialogo nel buio" visitare il link

http://www.dialogonelbuio.org/

IL TRAILER DI "ROSSO COME IL CIELO"


giovedì 20 novembre 2008

Roquentin Lane

Da beatlesiano non rinnego l'esplicito riferimento alla Penny Lane di "Magical Mistery Tour".
Mi butto in una nuova esperienza da blogger, per la pura necessità di prendere appunti, di tanto in tanto, e perché no, di condividerli.
Così Roquentin Lane diventerà la mia strada virtuale, che percorrerò man mano che questo blog prenderà vita.
Per arrivare.... boh, non so dove, e non m'importa.
In questo virtuale vialetto di periferia dedicato a Roquentin - personaggio preso in prestito dalla letteratura francese e che da tempo fa da mio pseudonimo sul web - ritroverò sicuramente l'entusiasmo della scrittura (senza pretese, sono perfettamente consapevole della mia totale incapacità di scrivere), lo stesso entusiasmo che qualche tempo fa mi fece aprire il mio primo blog sul Cannocchiale (http://roquentin.ilcannocchiale.it/). Quel blog rimase in costante aggiornamento per più di un anno.
Ora ci riprovo, piuttosto che con quel semi-anonimato di Roquentin, con il mio vero nome.

Il mio nome è Emanuele. Umbro (di Terni), Classe '77, programmatore informatico, sognatore, anticonformista e forse anche un po' misantropo... ma a fin di bene.