giovedì 25 giugno 2009

"ll Candelaio" di Giordano Bruno

"Il Candelaio" di Giordano Bruno è un testo difficile, frutto di una commistione di latino e vari dialetti, caratteristica tipica dello stile maccheronico di certa letteratura satirica del '500 (nata con l'intenzione di deridere la lingua latina nella sua ufficialità e solennità).
La commedia, liquidata all'epoca come “scellerata e infame” e più tardi "volgarmente sconcia e noiosa" da un certo Giosuè Carducci, è una magnifica espressione della vitalità, dell'irriverenza e delle grandi capacità comunicative del filosofo nolano.
Ricco di spunti autobiografici, il testo - portato sulle scene italiane da Luca Ronconi piuttosto di recente - è pervaso da una satira tagliente ed esplicita, verso i dogmi cristiani, verso l'ipocrisia di certa poesia "elegiaca", ed anche verso quel Francesco Petrarca che mi ha fatto nascere una certa curiosità nel notare una velata assonanza tra "Il CANdelaio" ed "Il CANzoniere".

Pubblico qui il sonetto proemiale de "Il candelaio", con un pensiero triste alla dura sorte dell'arte della satira, allora come oggi. Certo oggigiorno a Campo dei Fiori non ci sono più i falò della Santa Inquisizione, ma a quanti simbolici roghi abbiamo assistito nella nostra recente storia italiana!!
A gli abbeverati nel Fonte Caballino.
Voi che tettate di muse da mamma,
E che natate su lor grassa broda
Col musso, l'eccellenza vostra m'oda,
Si fed'e caritad'il cuor v'infiamma.
Piango, chiedo, mendico un epigramma,
Un sonetto, un encomio, un inno, un'oda
Che mi sii posta in poppa over in proda,
Per farmene gir lieto a tata e mamma
Eimè ch'in van d'andar vestito bramo
Oimè ch'i' men vo nudo com'un Bia,
E peggio: converrà forse a me gramo
Monstrar scuoperto alla Signora mia
Il zero e menchia, com'il padre Adamo,
Quand'era buono dentro sua badia.
Una pezzentaria
Di braghe mentre chiedo, da le valli
Veggio montar gran furia di cavalli.